“Tempo al tempo” dice Renzi, e non ha torto. In effetti alcuni buoni risultati dei suoi anni di governo cominciano a vedersi, e in qualche caso sono strutturali; anche se altri si vanno disperdendo nell’inutile balbettio politico-mediatico di questi mesi (molto a causa dell’errore politico che Renzi ha commesso dopo il 4 dicembre, quando ha deciso di non intestarsi con determinazione il governo Gentiloni, suo figlio più che legittimo). Tempo al tempo, comunque, e si farà (un po’ di) giustizia.
Ma anche i bambini sanno che di tempi ce ne sono almeno tre: passato, presente e futuro (certo, la questione è infinitamente più complessa: leggete l’ultimo, bellissimo libro di Rovelli e vi girerà la testa…). E dunque, se sul passato vale la pena spendere qualche (solo qualche) parola perché non cada nell’oblio; e se il presente va vissuto cercando semplicemente di non fare cazzate in eccesso; è però sul futuro che conviene applicarsi, se vogliamo dare un senso alle cose fatte ieri e non vogliamo appiattire l’oggi a stanca gestione senza prospettive.
Questo deve (tornare a) fare Renzi, se vuole ritrovare la sua essenza: scommettere di nuovo sul futuro. E io sarò un pazzo, ma penso anche che il canovaccio della sfida sia già pronto, si tratta solo di dargli una rinfrescata. E’ l’idea di cambiare in profondità le istituzioni, di ridisegnare l’assetto dello Stato, di semplificare norme, riscrivere poteri, velocizzare procedure. Insomma tutto quello che si intendeva fare (absit iniuria verbis) il 4 dicembre scorso. Roba che non solo non è passata d’attualità, ma conferma tutta la sua urgenza nel mondo che ci cambia davanti, giorno dopo giorno.
Non si tratta di sognare impossibili rivincite, beninteso. Se c’erano riforme sbagliate in quel progetto, si discutano, si archivino, si cambino. Ma è possibile – chiedo – che ora dovremo tenerci a vita il Cnel, le province, il bicameralismo perfetto, una perenne lotta tra poteri centrali e periferici, e così via? Se era sbagliato il metodo (ed evidentemente lo era, se ne prenda atto), si mettano insieme civili tavoli di confronto, si coinvolgano tutti i soggetti interessati, si riaprano con umiltà canali di dialogo con quel 60% di italiani che il 4 dicembre ha detto NO. Ma non si lasci cadere per sempre l’ipotesi che l’Italia possa cambiare.
So anche quanto sia impolitica questa idea, in tempi di tattiche imperanti e respiri affannosi e corti. Conosco le obiezioni, capisco le paure. Ma i traumi vanno affrontati, non rimossi. Per questo mi piacerebbe che Renzi tornasse a pensare in grande, cercando proprio nella sua Grande Sconfitta la leva per provare a riacciuffare il futuro.