Tra il 2008 e il 2009, Reti – azienda che avevo contribuito a creare dieci anni prima – viveva una crisi radicale, a causa degli effetti della crisi economica generale, di investimenti evidentemente sbagliati, e soprattutto del cieco e immotivato ottimismo dei soci. Eravamo persone perbene, avevamo degli ottimi prodotti, non capivamo perché il mercato non ci dovesse premiare. Ci rifiutavamo pervicacemente di guardare in faccia la realtà. Ad ogni periodica verifica negativa dei bilanci, mettevamo numeretti più o meno a caso sul futuro, ci lanciavamo in nuovi progetti, continuavamo a sognare ad occhi aperti un rilancio che i fatti smentivano un mese dopo.
Vivevamo in un buco nero che molti economisti, statistici, psicologi cognitivi oggi raccontano e spiegano, sulla base di studi esplosi soprattutto dopo la grande crisi. Avessi già letto all’epoca Kahneman o Nate Silver o anche il nostro Motterlini, avrei forse capito di essere schiavo della “fallacia del giocatore” (per spiegarla banalmente, è quando sei al tavolo della roulette e credi che dopo una lunga sequenza di rossi sia certa l’uscita del nero), o mi sarei accorto di quanto era decisamente sovrastimata da noi la probabilità di “eventi congiuntivi” (“perché un’iniziativa abbia successo, bisogna che ogni evento di una serie di eventi si verifichi”, così Kahneman), quando invece basta una sola previsione sballata perché venga giù il castello di carte che ti eri costruito nella tua testa, e solo nella tua testa (si chiama in gergo “illusione di validità”).
Con le dovute differenze, Matteo Renzi oggi vive – con tutta evidenza – dentro un analogo buco nero. Pensa di essere il migliore della compagnia (e ha pure ragione, questo è il problema…). Vorrebbe spaccare il mondo per dimostrarlo. E continua a vagheggiare la sua rinascita, ma con mosse costantemente fuori sincrono: precipitose o tardive, urlate, nervose, prive (a guardarle da fuori, con una lucidità che lui non può avere) di una qualsivoglia visione strategica. Un disastro che politici, giornalisti e commentatori sottolineano ogni giorno con una violenza inusitata e vigliacca (e chissà se provano mai un po’ di pena verso se stessi, questi miserabili sciacalli).
Continuando così Renzi non va da nessuna parte, questo è certo. Qualunque atto compia oggi e nel futuro risulta e risulterà inutile e sbagliato: la gabbia in cui l’ha rinchiuso il sistema non si riaprirà. La condanna è esecutiva e definitiva. Ha un’ultima e sola possibilità per salvarsi e restare in vita: lasciare, mollare la segreteria, cedere il bastone del comando del Pd. Deve fare ora quello che non ebbe il coraggio di fare sette mesi fa: andare via. In condizioni molto diverse e peggiori, si capisce. Ma il tempo che passa lavora inesorabilmente contro di lui, se non è lui stesso a produrre uno scarto, una rottura, un trauma vero.
Naturalmente so che la soluzione che indico sembrerà folle ai politicamente corretti, ai realisti, ai farisei, a tanti suoi amici, e – naturalmente – a lui stesso. Rispondo facendo appello preventivamente al più triste dei bias, quello del “senno del poi”: ne riparliamo tra qualche mese, e vedrete se non ho avuto ragione (anche se spero con tutto il cuore di non essere costretto a reclamarla).
PS. Intanto ora Reti, l’azienda di cui sopra, è rinata. Ha attraversato anni difficili, si è rimessa in moto con umiltà, è tornata a fare il suo mestiere senza perdersi in mille rivoli, ha creato una nuova governance, e stasera festeggia. Auguri a tutti, ragazzi, e a più tardi!