Sarà pure una vergogna – fate voi – ma stamattina ho visitato il Colosseo quasi per la prima […]
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L’ultima riguarda le nomine Rai – fatte con una legge che Renzi non è riuscito (ancora) a cambiare, […]
Una mia lettera sul Corriere del Mezzogiorno, a proposito delle chiavi della reggia di Caserta consegnate dal prefetto Monaco a Cosentino
Caro direttore,
mi ritengo un garantista a tutto tondo. Non di quelli – per capirci – che si strappano i capelli se a finire sotto la mannaia dei Pm sono amici e sodali, e invocano invece la sacra bilancia della giustizia per odiati avversari. Per me i cittadini di fronte alla legge sono tutti uguali. Cioè innocenti. Fino a prova contraria, reiterata e definitiva. Se lo Stato ne accusa uno, ha il dovere di dimostrare – in tempi rapidi, con efficienza, fornendo ogni garanzia di sobrietà, equilibrio e imparzialità – le sue ragioni. Se e quando ci sono.
Sul Corriere del Mezzogiorno di oggi c’è questo mio pezzo su Carditello.
Caro direttore,
il real sito di Carditello “potrebbe” essere affidato a Libera, cui “potrebbero” essere affiancate le associazioni. “Sarebbe” l’idea più forte, dice Tommaso Montanari sul Corriere del Mezzogiorno di ieri. Dimostrando, con i suoi condizionali, la fondatezza delle mie obiezioni all’acquisto del sito da parte dello Stato.
Il punto è, caro Montanari, che ai governanti l’uso del condizionale è (“dovrebbe” essere…) inibito. Nel momento stesso in cui prendono soldi dalle tasche dei cittadini, hanno il dovere di dire, con precisione, cosa ne faranno, come li utilizzeranno e per quale scopo. Senza condizionali.
“Capo, abbiamo preso la Prefettura di Milano!”. “Bene, e ora che ve ne fate?”. La fulminante risposta di Togliatti all’entusiasta Pajetta andrebbe ricordata a Gian Antonio Stella, che sul Corriere di stamattina dedica un panegirico all’acquisto della reggia di Carditello da parte dello Stato, nella persona del ministro Bray.
Bene. E ora che lo Stato ha comprato per due soldi la reggia cadente, dopo molte aste andate deserte, che cosa ne farà?
Quale debba essere il destino di un’area, un monumento, un palazzo, una preesistenza importante – diciamo – di una città, è questione legata a due fattori fondamentali: all’idea di città che hai (tu amministratore, intendo) e alle risorse a disposizione. Le questioni non sono scindibili.
Perché puoi immaginare di utilizzare Palazzo Fuga (oppure, parlando di Napoli, altre mille importanti preesistenze) per funzioni diverse, e anche ragionevoli. Ma prima di tutto devi fare i conti con i soldi necessari per rendere il bene funzionale all’obiettivo che ti sei dato, e devi pensare al dopo. Come si gestirà quel bene? Con quali soldi? Per quanto tempo? Mentre si appronta un piano per il restauro del bene, parallelamente qualcuno sta pensando ad un business plan per il suo utilizzo a regime? Anche affinché – almeno in una certa misura – il bene produca soldi, oltre che divorarne?
Stiamo parlando, per chi non lo conoscesse, di uno dei più imponenti palazzi d’Europa. Con una superficie di oltre 103mila metri quadri (un quinto dei volumi previsti dal progetto originario) e una facciata di quasi 400 metri, palazzo Fuga avrebbe dovuto accogliere, nella vaga utopia illuminista di Carlo di Borbone, poveri da tutto il regno. Un disegno fallito non solo per intrinseco velleitarismo, ma anche perché nel frattempo l’attenzione di Carlo si era rivolta alla reggia di Caserta. E i fondi per il palazzo vennero meno. Rimase così, dal 1820, un’opera incompleta, abbandonata, e poi adattata a mille usi (nell’illegalità più assoluta) dalla fantasia dei napoletani, nel disinteresse di tutti i governanti.
La BuitoniBorlettiMazzantiviendalmare, sottosegretaria ai Beni culturali, si lamenta qui perché il decreto del fare semplifica (orrore!) le procedure per le ristrutturazioni degli immobili, naturalmente se il bene non è vincolato (chiaro? Se il bene NON è vincolato). La signora vorrebbe anche in questi casi l’autorizzazione delle Soprintendenze: una carta in più da produrre, un potere in più per le burocrazie. Ci vuole tempo per le autorizzazioni? Si diano più soldi alle Soprintendenze. Sennò il nostro patrimonio culturale (ricordo che stiamo parlando in questo caso di un dignitoso appartamentino al Quarticciolo) rischia di brutto.
Allora, comincio a prendermi le prime libertà. Partiamo da un po’ di stupidaggini napoletane. Ieri un commentatore ha scritto sul Corriere del Mezzogiorno che Velardi ha lasciato l’assessorato perché ha ”un fiuto infallibile a correre in soccorso del vincitore”. L’illustre scrivano non spiega perché a Napoli ci sono andato, a febbraio del 2008, in piena crisi dei rifiuti. Anche allora correvo in soccorso di qualche vincitore?
Veniamo alla seconda, un po’ più seria. Oggi lo stesso giornale scrive “fondi da Velardi a Velardi”, alludendo ad una delibera che stanzia risorse per il primo osservatorio internazionale di trendwatching, appuntamento della neonata Fondazione Capri. Si sostiene che viene finanziata la società Gpf, del gruppo Reti. Falso. Per preparare la manifestazione Elena Marinoni, ricercatrice di Gpf e massima esperta italiana di trendwatching, sta fornendo una consulenza gratuita. Non c’è alcun contratto tra società del gruppo Reti e la Fondazione Capri. Gli avvocati si occuperanno di stabilire i termini di un’azione legale nei confronti delle sciocchezze scritte.