Mi sveglio alle sei, come ogni mattina. Alle sei e un minuto sono davanti al computer per leggere i giornali (sto benedetto blog mi mette una certa ansia, diciamo la verità) e scopro che marcia a qualche decina di bit.

Ci metto un po’ a capire che mi ha lasciato a piedi il Tooway, fantastica parabolina che sull’isola mi da grandi soddisfazioni. Ancora ieri la magnificavo (“Sì, pago una trentina di euro, ma va a 20 mega veri, mio caro”) con Francesco, mio compagno di corsa, che come tutti a Stromboli va in cerca di rete con chiavette non sempre efficaci. Vuoi mettere un satellite tutto per me?

l’entusiasmo della categoria per l’acquisto del Washington Post da parte di Bezos. Che sia questione di carta, scordatevelo. Se ha comprato contenuti, beh, dov’è la notizia, la svolta, il fatto storico? Producete anche qui contenuti all’altezza e vedrete che qualcosa accadrà.  Intanto buonanotte.

Eccoci qua, buongiorno. Sì, davvero stupefacenti le reazioni di ieri. Bezos ha comprato contenuti per commercializzarli: è il suo mestiere. Ha deciso di farlo con un giornale perché il Washington Post produce informazione di livello, e sui contenuti informativi si combatte buona parte della grande guerra tra Google e Amazon. Tutto qua.

E veniamo a noi. Ho letto nell’eccitazione del giornalismo italiano qualcosa di più della reazione professionale ad una notizia. Ci ho visto – come dire -l’improvviso, imprevisto affacciarsi di una speranza. Allora il mestiere di giornalista ha un futuro. Magari anche per noi – sembra essere la domanda sottostante – qui, alla periferia dell’Impero?