Sogno un’Italia in cui tutte le strade si chiamino con un numero, come le streets di Manhattan. Perché dalle nostre parti riusciamo ad esibire la nostra vergognosa, tribale assenza di memoria condivisa anche attraverso la toponomastica, comportandoci come animali che pisciano per segnare il territorio.

Quando, per la prima volta, la sinistra vinse le elezioni a Napoli, il peraltro ottimo sindaco Maurizio Valenzi cambiò il nome dello storico e bel viale Elena in viale Gramsci. Io, giovane comunista, trovai la cosa orribile. Perché violentare così la storia di una città, di un territorio? Che diritto aveva un sindaco di imporre ad una strada una denominazione diversa da quella che aveva da più di un secolo? Non testimoniava di un’attitudine a imporre regimi più che a governare in democrazia? I miei dubbi non ottennero ovviamente udienza. (E comunque i napoletani, nella loro infinita saggezza, se ne fottettero: viale Gramsci è ancora oggi – per tutti – viale Elena, a dispetto della targa affissa sui muri).

Non vale mai la pena comprare i giornali, salvo che in rare occasioni. Stamattina il Foglio vale, almeno in parte, l’euro e mezzo che costa, per l’editorialone di Ferrara, che fa il punto prima (immagino) di andare in ferie, e un bel pezzo di Beppe Di Corrado su Garcia (forza Roma). Ferrara ve lo giro io qui sotto, così – se non siete tifosi della Maggica – potete risparmiate l’euro e mezzo e prendervi un caffé, in sostanza pagato da me.

Ecco Ferrara