Ecco, a me questo Renzi che l’altro giorno dice: “Il mio programma è la Costituzione”, echeggiando “la più bella del mondo” di B&B (Benigni e Bersani), e ieri fa l’elogio di Enrico Moretti (“La nuova geografia del lavoro”, uno dei libri più intelligenti e stimolanti degli ultimi tempi), comincia a non interessare più. Non è questione di essergli contro o a favore. Io l’ho sostenuto dal primo momento, mi ha appassionato la sua freschezza, ho visto nella rottamazione (parola d’ordine stupidamente abbandonata) qualcosa di più della liquidazione di vecchi dirigenti, mi è piaciuto il suo profilo di combattente sfrontato e solitario, il suo andare controcorrente.
enrico moretti
Alcuni dei miei migliori amici – di vecchia militanza politica e di attualissimi affetti – vengono da una formazione e una cultura industrialista, e ancora ce l’hanno. La rocciosa scuola del Pci aveva insegnato a tutti che al di fuori della fabbrica c’era ben poco di interessante. Per amor di Dio, l’alleanza con i “ceti medi” era cruciale, a un certo punto Sylos Labini ci aveva detto di nuove articolazioni delle “classi sociali”, e da un certo momento in poi “terziario” non fu più una parola appaltata a verbosi sociologi. Ma il centro di tutto restava lì, nella fabbrica, nel luogo dove si producevano “cose”. (Lo so, sto parlando di 40 anni fa, ma il teorico della “centralità operaia” è stato nominato in Parlamento dal Pd 6 mesi fa).