Rassegnati

Incontro ieri un ministro, gli chiedo come va e lui mi dice: “Mah, qui ci facciamo il mazzo in una situazione difficilissima. Tra di noi il clima è positivo, facciamo molte cose buone e nessuno ce le riconosce, normali inciampi quotidiani vanno nel ventilatore dei media e si trasformano in purissime fake news… ma il punto, come è ovvio, è che il governo non ha prospettiva, non ha slancio”. E’ colpa di Renzi, è lui che destabilizza? “No, il problema non è lui. E’ che viviamo tutti come in una bolla, in una condizione sospesa… sembra che si aspetti solo il momento di consegnarsi a quelli lì”. Poi mi affaccio ad un convegno, e non c’è manager, lobbista o comunicatore che, a margine, non stia a chiedersi come si farà il giorno dopo, quali guai si preparano. Come se già fossero arrivati. Come se l’unico problema vero sia approntare le difese, la resistenza (per alcuni – glielo leggo negli occhi – la conversione).  Me ne vado un po’ scoglionato e, tornando a casa, una vecchia militante mi afferra per strada e sbotta: “Ma è possibile che nessuno reagisca? La vedono la Tv i miei dirigenti?”.

Vista dalla Roma dei palazzi, delle aziende, del sottobosco del sistema, della stampa, dei talk-addicted, l’intera Italia sembra avviarsi con beota rassegnazione a cambiare padrone. Anche se parliamo di un un maestoso  bias, perché alle domande che rivolgo a chiunque (“Ma siete così sicuri? Non è che i dati lo dicano…”; “Va bene, e poi, di grazia, dove prendono la maggioranza?”, ) nessuno è in grado di rispondere, anzi tutti finiscono per dirti: “Sì capisco, effettivamente…”. Però sbiascicano la frase senza crederci, con il tono depresso e l’aria infastidita di chi è costretto a rispondere ad un ingenuo ottimista o a un rozzo propagandista.

Un clima surreale. Dovuto senza ombra di dubbio ad una atavica propensione delle classi dirigenti italiane ad appecoronarsi fiutando l’aria che tira, ben prima del tempo (a volte sbagliando cavallo), in omaggio al famoso effetto bandwagon, che si incrocia e a sua volta favorisce una altrettanto nota euristica della psicologia sociale (la self fulfilling prophecy). Un mix micidiale. Sul piano comunicativo – per ora solo su questo piano, sia chiaro – una slavina che ha già consegnato il potere, certamente l’egemonia culturale, al M5S. Su un piatto d’argento, senza che l’Invincibile Armata a cinque stelle paghi mai dazio: per le approssimazioni, le gaffes, le proposte assurde, le campagne devastanti, la pochezza imbarazzante della classe dirigente. Il loro cammino prosegue su una carrozza dorata.

Vero, dice il depresso rassegnato o pronto al regime-change: ma gli altri? Ma il Pd, ma Renzi, ma il governo, ma il partito, ma i dirigenti. E ha ragione. Perché lo straniamento kafkiano nel quale viviamo  si romperebbe – non d’incanto ma con un duro lavoro – se tutto cominciasse pian piano non dico a girare, ma a dare qualche segno di funzionamento. Non propaganda (siti in cammino, blog e bob) ma roba solida. Politiche non oscillanti, mai più concorrenza ai populismi, posizioni moderate e riformiste sull’intera agenda pubblica di un partito finalmente moderato e riformista, uscito dal disastrato universo simbolico della sinistra ormai anche nella sua constituency, nella sua base sociale. Un discorso che finalmente e senza mezzi termini affermi: eccoci qua signori, noi siamo il sistema. Quello nel quale viviamo – e più che dignitosamente, tutti – da decenni. Che vogliamo riformare e innovare, con pazienza e tenacia. Ma che non vogliamo sfasciare. Chi vuole farlo si accomodi con quegli altri. Noi non forniamo alibi e argomenti agli altri. Noi il sistema (sì, proprio così: il sistema) lo difendiamo.

Eppure io stesso mi chiedo – e la domanda è vera, mi sale da dentro in continuazione – se queste non sono comunque sofisticherie di cui parlare un attimo dopo essersi liberati di questa rassegnazione, scimmia che ci portiamo sulle spalle e che da sola può fare diventare realtà quello che per ora è  un brutto sogno.