Carditello“Capo, abbiamo preso la Prefettura di Milano!”. “Bene, e ora che ve ne fate?”. La fulminante risposta di Togliatti all’entusiasta Pajetta andrebbe ricordata a Gian Antonio Stella, che sul Corriere di stamattina dedica un panegirico all’acquisto della reggia di Carditello da parte dello Stato, nella persona del ministro Bray.

Bene. E ora che lo Stato ha comprato per due soldi la reggia cadente, dopo molte aste andate deserte, che cosa ne farà?

imgresQuale debba essere il destino di un’area, un monumento, un palazzo, una preesistenza importante – diciamo – di una città, è questione legata a due fattori fondamentali: all’idea di città che hai (tu amministratore, intendo) e alle risorse a disposizione. Le questioni non sono scindibili.

Perché puoi immaginare di utilizzare Palazzo Fuga (oppure, parlando di Napoli, altre mille importanti preesistenze) per funzioni diverse, e anche ragionevoli. Ma prima di tutto devi fare i conti con i soldi necessari per rendere il bene funzionale all’obiettivo che ti sei dato, e devi pensare al dopo. Come si gestirà quel bene? Con quali soldi? Per quanto tempo? Mentre si appronta un piano per il restauro del bene, parallelamente qualcuno sta pensando ad un business plan per il suo utilizzo a regime? Anche affinché – almeno in una certa misura – il bene produca soldi, oltre che divorarne?

imgresStiamo parlando, per chi non lo conoscesse, di uno dei più imponenti palazzi d’Europa. Con una superficie di oltre 103mila metri quadri (un quinto dei volumi previsti dal progetto originario) e una facciata di quasi 400 metri, palazzo Fuga avrebbe dovuto accogliere, nella vaga utopia illuminista di Carlo di Borbone, poveri da tutto il regno. Un disegno fallito non solo per intrinseco velleitarismo, ma anche perché nel frattempo l’attenzione di Carlo si era rivolta alla reggia di Caserta. E i fondi per il palazzo vennero meno. Rimase così, dal 1820, un’opera incompleta, abbandonata, e poi adattata a mille usi (nell’illegalità più assoluta) dalla fantasia dei napoletani, nel disinteresse di tutti i governanti.

imgresProvo un dolore fisico a scrivere di Napoli, ma quando leggo notizie come questaquestaltra non posso farne a meno.

Potremmo anche farci qualche risata, leggendo di alcune delle misure di mezza estate della giunta De Magistris. Una variante al piano urbanistico che “sblocca il grande progetto per il polo fieristico della Mostra” attraverso “la realizzazione di una guardiola di vigilanza per assicurare gli accessi e la definizione della strada destinata a migliorare la sicurezza interna” (testuale, non scherzo). Un sondaggione web (anche qui, non scherzo) per riformare la Ztl. La “raccolta di idee di creativi e non solo” su come trasformare l’area di via Caracciolo che resterà aperta al traffico. “Raccolta di idee di creativi e non solo”. Non ci sono parole.

Da quando è finita la mia breve esperienza di amministratore in Campania, ho cercato di non esprimermi su Napoli. Intanto perché verso la mia città nutro sentimenti troppo forti per parlarne con adeguato distacco. E poi perché nel mio caso sono sempre in agguato i ri-sentimenti: ecco come siamo finiti, quanti errori sono stati commessi e quanti ancora se ne fanno. Con annessi corollari: io l’avevo detto, d’altronde cosa c’era da aspettarsi. E relative, implicite e penose conclusioni: ci vorrebbe ben altro, io avrei fatto diversamente, ecc…