Il come e il quando di un paese di vigliacchi

Che stupida e – soprattutto – che vile discussione, questa sul come e quando riaprire l’Italia. Con il “come” appannaggio di esperti spesso in conflitto tra loro, intellettuali causidici e commentatori con il ditino permanentemente alzato, e il “quando” consegnato a imprenditori egoisti e qualche politico (forse uno solo, considerato un irresponsabile vanesio).

La discussione è stupida perché è evidente che, se si stabilisce di avviare la riapertura, lo si fa studiando un percorso. Per settori, ambiti territoriali, per orari. Nessuno può immaginare che, da un giorno all’altro, ci riverseremo negli uffici, nei tram e nei negozi, senza criteri definiti con tempistiche adeguate e un minimo di buon senso.

Il punto è che, mentre siamo avvolti nelle nostre classiche discussioni di lana caprina, gli altri paesi sul quando ci scavalcano. Quelli dove la pandemia è arrivata dopo e – si suppone – dopo finirà, hanno stabilito intanto di riaprire. La Francia di Macron, che alla formazione ci tiene, ha deciso che le scuole riaprono l’11 maggio. Noi abbiamo già rinunciato: tutti a casa e promossi, se ne riparla a settembre. La Spagna riapre oggi aziende, laboratori, uffici e cantieri. Da noi qualcosa ci dirà, forse, il prossimo decreto, atteso verso il 20 aprile. Anche in Germania presto si tornerà nelle fabbriche e nelle scuole, lo decideranno mercoledì Merkel e i presidenti dei Lander.

E veniamo così alla viltà, che è il tema vero. Viltà di una intera classe dirigente: media, intellettuali e politici. Stamattina un ministro della Repubblica ha sostenuto che la politica, prima di decidere, aspetta dalla scienza “certezze inconfutabili”, come se fossimo ancora in era tolemaica. E ha preventivamente scaricato sui Presidenti delle Regioni le conseguenze di decisioni “forzate”.

Sono posizioni che giustificano e promuovono lo scambio osceno che si sta realizzando in Italia tra politici e popolo. Io politico, amministratore, governatore, sindaco chiudo tutto e me ne vanto, così mi metto al riparo da qualsivoglia recrudescenza del Covid-19, e decido di non decidere. Guadagno consenso facendo crescere la paura e additando al pubblico ludibrio i pochi che non rispettano regole capotiche e farraginose. Nel frattempo vado a chiedere soldi da poter distribuire a pioggia, certo di ottenerli in nome della Grande Emergenza. A me popolo questo sta più che bene. Sono grato al politico che mi protegge dal virus, infierisco da zelante delatore sul vicino che non rispetta le regole, aspetto con la mano tesa che arrivino i soldi che – naturalmente – ci sono dovuti. E li voglio anche subito. Un po’ storco il naso se arrivano dall’Europa, e se gli olandesi eccepiscono. Ma, comunque, questa volta i soldi puzzano meno che in passato.

E’ tutto abbastanza uno schifo. E ancora è niente. Perché a mettere il suggello su questo trionfo nazionale di inciviltà e vigliaccheria sta arrivando la magistratura con le sue inchieste, che aumenteranno a dismisura la paralisi e genereranno la solita, periodica ondata di qualunquismo e populismo. Ci vorrebbe una rivolta civile. Ma non è roba da Italia.